“È dallo stupore che gli uomini cominciarono, e ancora oggi cominciano, a filosofare.”
— Aristotele, Metafisica
C’è un’emozione primordiale che giace nel cuore dell’essere umano, silenziosa ma potente, spesso dimenticata sotto il peso della razionalità e della fretta. È lo stupore. Non quello superficiale che ci distrae per un attimo, ma quello profondo, viscerale, che ci disarma di fronte a ciò che non sappiamo spiegare.
I filosofi dell’antichità la chiamavano thauma (θαῦμα): una meraviglia carica di tremore, un’increspatura dell’anima davanti all’ignoto. In questa vibrazione nasce la filosofia. E forse, in questa stessa vibrazione, può nascere anche il nostro risveglio interiore.
Il termine greco thauma si traduce con meraviglia, stupore, portento. Ma è molto di più. Contiene in sé anche una componente di timore reverenziale, quasi di sgomento. Non è una semplice reazione estetica, bensì una soglia emotiva che ci conduce oltre il conosciuto.
Platone, nel Teeteto, fa dire a Socrate che il thaumazein — la capacità di stupirsi — è l’origine della filosofia. Aristotele lo conferma nella Metafisica, dicendo che “gli uomini cominciarono a filosofare per meraviglia”.
Lo stupore non è dunque un lusso dell’infanzia o un abbellimento poetico, ma l’inizio della conoscenza autentica. È ciò che ci costringe a fermarci, a domandarci, a cercare senso.
Viviamo immersi in un tempo che tende a spiegare tutto, catalogare tutto, razionalizzare ogni cosa. Ma in questa smania di comprensione, rischiamo di smarrire ciò che davvero apre il cammino: la capacità di meravigliarsi. Lo stupore autentico è l’esperienza che ci ricorda che la realtà è più grande delle nostre definizioni. Quando ci lasciamo attraversare dal thauma, ci troviamo esposti a un senso di vastità che supera l’intelletto.
Il mare aperto, il cielo stellato, il silenzio di un deserto, il primo sguardo di un bambino: sono momenti in cui il mondo non ci appare più familiare, ma sacro. E proprio in quel non sapere, in quel sentirci piccoli, nasce la possibilità di pensare davvero.
Il thauma è anche il primo passo verso una pratica interiore. Chi si stupisce, interrompe l’automatismo, si apre al mistero, sospende i giudizi abituali. È simile all'esperienza del silenzio interiore: non una mancanza, ma uno spazio pieno di attesa. Lo stupore crea una fenditura nella mente abitudinaria, attraverso la quale può entrare qualcosa di nuovo.
E questo “nuovo” non è necessariamente una risposta. Anzi: può essere domanda pura, apertura, vulnerabilità creativa. In questo senso, può diventare il primo passo verso una trasformazione personale.
Thauma può essere tradotto non solo come meraviglia, ma come meraviglia mista ad angoscia. Ed è proprio in questa ambivalenza che si rivela la sua potenza. Non ci stupiamo infatti solo di ciò che è bello, ma anche di ciò che è incomprensibile, inquietante, sublime. Pensiamo all’incontro con la morte, alla forza bruta della natura, all’improvvisa consapevolezza della nostra finitezza: anche questi sono momenti di thauma.
Lo stupore, così inteso, non consola: ci spoglia, ci toglie ogni certezza. Ma in questa stessa esposizione ci offre una nuova possibilità: quella di ricominciare a vedere con occhi diversi.
Come possiamo coltivare lo stupore nella vita di tutti i giorni?
Non è necessario attendere eventi straordinari. Lo stupore si annida anche nei dettagli: una foglia che cade, una frase inattesa, una pausa nel discorso. L’essenziale è fermarsi, osservare senza sapere già, lasciare che il mondo ci parli. Lo stupore è considerato anche un modo per far emergere verità che non si possono insegnare, ma solo far nascere dentro di sé.
E lo stesso può valere per chiunque percorra un cammino di ricerca interiore: non cercare subito la soluzione, ma imparare a restare nella domanda, ad abitare il mistero.
Con la meraviglia ci liberiamo da un mondo fatto solo di output, performance e risposte veloci, per entrare nel tempo lento dell’essere. Un tempo in cui la profondità ha ancora spazio, in cui il silenzio è fecondo, in cui il senso non è un algoritmo ma un cammino.
Lo stupore è terapeutico. Non perché risolve, ma perché ricollega: alla vita, all’ignoto, a noi stessi. È un gesto di umiltà e insieme di fiducia. È un "sì" detto all’esistenza quando non la comprendiamo.
Chi si lascia stupire, si lascia trasformare. Thauma non è solo la meraviglia dell’inizio. È anche la scintilla del cammino, il primo passo versola guarigione interiore, il primo segnale che qualcosa in noi è ancora vivo, sensibile, aperto.