Viviamo nell’illusione di essere liberi. Crediamo di scegliere consapevolmente cosa fare, con chi parlare, cosa guardare e come trascorrere il nostro tempo. Eppure, se osserviamo da vicino i nostri gesti quotidiani, quante volte siamo davvero noi a decidere? Prendiamo in mano il telefono senza pensarci, apriamo un social non appena abbiamo un attimo vuoto, scorriamo immagini e notizie che dimentichiamo un minuto dopo. Questo non è libertà, ma reazione automatica. È come un'ipnosi che ci allontana ancora di più da noi stessi, facendoci dimenticare la nostra presenza interiore. Entriamo in uno stato di torpore, poco vigile, in cui il tempo scorre senza che ce ne rendiamo conto, come se fossimo trascinati da una corrente invisibile. Più restiamo immersi in questo trascinamento, più la coscienza si ritira sullo sfondo: non ricordiamo più cosa volevamo fare, né perché avevamo preso in mano il telefono o acceso lo schermo. È una trance quotidiana, dolce e insidiosa, che ci lascia apparentemente appagati ma in realtà sempre più distanti da noi stessi, incapaci di ritrovare il filo della nostra esistenza.
Gurdjieff descriveva l’uomo inconsapevole come una macchina biologica: un organismo che si muove e risponde agli stimoli esterni senza rendersene conto. Convinti di essere padroni delle nostre azioni, in realtà non facciamo altro che ripetere programmi già scritti, abitudini consolidate, gesti che si ripetono come un riflesso condizionato. È la condizione del "pilota automatico": un pensiero nato dal nulla suscita un’emozione, l’emozione muove il corpo a un gesto, e il gesto rinforza ancora una volta quel pensiero, chiudendo il ciclo. Tutto questo avviene in frazioni di secondo, senza che ce ne accorgiamo davvero. La ripetizione continua rinforza questo meccanismo fino a metterlo completamente al di fuori del nostro controllo. La tecnologia, con il suo flusso continuo di notifiche e stimoli, amplifica questa condizione rendendola ancora più pervasiva.
La psicologia spiega questo fenomeno con il concetto di rinforzo. Ogni volta che riceviamo un “like”, un messaggio o una notifica, il nostro cervello rilascia una scarica di dopamina, una piccola ricompensa che ci fa provare piacere e che ci spinge a ripetere il comportamento. È lo stesso meccanismo che regola il gioco d’azzardo, applicato però alla vita di tutti i giorni. Il rinforzo intermittente, in particolare, è il più potente: non sappiamo quando arriverà la prossima notifica o approvazione, e proprio questa incertezza ci incatena ancora di più. Così, gesto dopo gesto, diventiamo programmati a reagire. Non siamo più noi a usare lo strumento, ma è lo strumento che usa noi.
Le conseguenze di questa dinamica non si limitano al tempo che perdiamo davanti a uno schermo. La vera perdita è invisibile: ci allontaniamo dalla possibilità di essere presenti a noi stessi. Ci ritroviamo più ansiosi, preda della paura di perderci qualcosa, incapaci di tollerare il silenzio o la noia. L’ansia cresce quando la mente, priva di un centro stabile, rincorre stimoli senza mai fermarsi; la paura si insinua perché ci sembra di non avere più il controllo, di poter svanire se non restiamo costantemente connessi; e la depressione nasce come il rovescio di questa corsa, quando l’energia si esaurisce e rimaniamo svuotati, incapaci di sentire interesse o gioia. Tutti questi stati sono il riflesso della stessa perdita di sé: quanto più ci allontaniamo dalla nostra presenza interiore, tanto più lasciamo spazio a emozioni negative che diventano padrone della nostra vita. La nostra volontà si indebolisce, la creatività si affievolisce, le relazioni diventano più superficiali. In altre parole, più agiamo come macchine, meno siamo padroni della nostra vita e più la qualità della nostra esistenza peggiora.
Eppure non si tratta di rinnegare la tecnologia o demonizzare il progresso. La sfida non è eliminare, ma invertire il rapporto: passare dall’essere strumenti di algoritmi e stimoli esterni al tornare padroni della nostra attenzione. Questo processo richiede consapevolezza e piccoli atti di interruzione del pilota automatico. Si può iniziare osservando sé stessi: notare quando un gesto nasce da un impulso meccanico e chiedersi “sto scegliendo o sto reagendo?”. Ridurre le notifiche, stabilire momenti di disconnessione, creare spazi di vuoto come una camminata senza auricolari o qualche minuto di respiro consapevole. Coltivare rituali lenti, come leggere un libro di carta, scrivere a mano o cucinare senza fretta, ci riporta a una dimensione più autentica del vivere.
La libertà non si misura nel numero di possibilità esterne che abbiamo davanti, ma nella capacità di scegliere con lucidità. La lucidità è la capacità di vedere con chiarezza, come se si sollevasse un velo: percepire il flusso di quanto sta avvenendo, nel presente, in noi e fuori di noi, riconoscere le forze che ci muovono e muovono quanto ci circonda, mantenere uno spazio in cui agire liberamente. Significa osservare minuziosamente, comprendere profondamente e agire in modo intenzionale. Possiamo continuare a vivere come automi, intrappolati nel meccanismo del rinforzo e nel sonno della macchina biologica, oppure possiamo imparare a fermarci, osservare e decidere. Trasformare il modo in cui percepiamo e partecipiamo al mondo, accendendo la capacità di creare la realtà invece di subirla. Scoprire la possibilità di coltivare curiosità, meraviglia e responsabilità in ogni scelta, diventando architetti della nostra esistenza. Solo così possiamo attraversare la vita con leggerezza e intensità, trasformando ogni momento in esperienza.